APPUNTI SULLA CITTA’ NUOVA o dell’emergenza
18 Maggio 2020Capitolo 7: IL QUARTIERE e l’Esprit Nouveau.
Il quartière sembrerebbe tornato di moda di questi tempi.
Il confinamento, con le sue regole restrittive sugli spostamenti, insieme ad una specie di improvvisa presa di coscienza della situazione di vicinato, ha anche innescato qualche visione sulla necessità di migliorare la qualità sociale della vita che lì si svolge.
Nella terminologia urbanistica il quartière è una sezione di città, “un organismo riconoscibile all’interno dell’agglomerato urbano, la cui struttura può essere di diversa natura”, geografica , topografica, etnica, storica e soprattutto funzionale. Parti di città con caratteristiche comuni: residenziali, commerciali, del terziario, industriali. Zone pianificate per soddisfare certe funzioni, con l’idea di sviluppare la città per sottoinsiemi separati. Idea che poi nel tempo non sempre ha condotto a risultati brillanti, anzi, spesso ha prodotto degrado, interi settori di città che, esaurito il tempo necessario alla funzione propria, si svuotano, oppure quartieri dormitorio, ghetti separati, borgate e periferie derelitte.
La parola quartière deriva dal numero delle parti, quattro, in cui erano suddivise molte città medievali, sorte sull’impianto di città fondate dai romani, in cui l’accampamento –castrum- era suddiviso in quattro settori dall’intersezione delle due strade principali, fra loro ortogonali, il cardo e il decumano. Analogamente,quando la città era suddivisa, invece, in tre settori, questi si chiamavano terzieri, se in sei parti sestieri come tuttora quelli di Venezia. I rioni a Roma definiscono i settori antichi all’interno delle mura Aureliane, in contrapposizione ai quartieri che invece sono fuori e più recenti.
Molti architetti ed urbanisti del Movimento Moderno, al fine di razionalizzare la città, spesso hanno preso a modello la pianta ortogonale del castrum, ad esempio durante il ventennio fascista il razionalismo italiano ha prodotto due città costruite ex novo come Sabaudia, inaugurata nel 34, oppure la meno conosciuta Portolago a Leros in Dodecanneso, entrambe organizzate su piante a base ortogonale e suddivise in quarti.
Nel 1920, cento anni fa, usciva il primo numero dell’Esprit Nouveau, rivista di attività contemporanea fondata da Ozenfant e da Le Corbusier. Gli intenti che si proponeva vennero esposti nel manifesto di programma, si trattava degli ideali definiti poi del “purismo”, sui quali si sviluppa tutta l’architettura di Le Corbusier. “C’è nel mondo uno spirito nuovo: spirito di costruzione e di sintesi guidato da chiare concezioni. E’ questo che anima oggi la parte più feconda dell’attività umana. UNA GRANDE EPOCA E’ COMINCIATA…”(dal Manifesto dell’Esprit Nouveau, n 1, 1920).
Dieci anni dopo, nel primo numero della rivista Plans, nata per proseguire l’opera fondativa dell’Esprit Nouveau, il Manifesto “Architettura e Urbanistica” chiama all’azione le forze dotate di spirito nuovo: il lavoro di preparazione è compiuto; la rivoluzione architettonica è matura per ricostruire le grandi città dell’epoca macchinistica. “…l’era nuova incombe sul vecchio mondo come un cataclisma, come un terremoto. Resistere? Follia e disastro. Interpretare, ordinare, guidare l’evento verso i suoi armoniosi destini: questo è il nostro dovere. E’ l’ora di giudicare, di decidere, di agire. Senza rimpianti e senza sterili ripieghi. Con entusiasmo, fede, chiaroveggenza e intuito. Volontà di ferro e cervello di ghiaccio per costruire.” (Plans, n 1 – gennaio 1931).
Nasce l’utopia razionalista poi sfociata anche nella realizzazione dell’Unité d’Habitation, che altro non è se non un edificio-sintesi, un edificio-quartière di 337 appartamenti, distribuiti su 12 piani, sospesi su larghi pilotis, impiantati sul terreno verde e alberato, diminuendo così al minimo il consumo di suolo. Dentro l’edificio sono incorporati negozi, palestra, l’infermeria, l’asilo, un albergo. Il tetto piano è concepito come uno spazio collettivo all’aperto, una piazza, un luogo comune dove incontrarsi tra sculture, piante, una piscina. Un sistema indipendente, un po’ come una nave che è progettata per contenere al suo interno le funzioni di base per poterci vivere, anche nella terminologia navale, guarda caso, si usa la parola quartière, per definire quei settori in cui è divisa rispetto al suo asse longitudinale.
Quando uscì il primo numero dell’Esprit Neuveau, cento anni fa, il mondo, ferito ed indebolito dalla Grande Guerra, si apprestava ad uscire dalla tragica pandemia dell’influenza spagnola che provocò decine di milioni di morti. Troppo facile individuare delle analogie. Gli ardui problemi della ricostruzione segnarono nel mondo, in Europa e particolarmente in Olanda, in Germania e Francia, un vasto movimento che si propose di trovare una sintesi che servisse da fondamenta di un’architettura veramente nuova, rispondente alle esigenze dell’epoca. In questo quadro va inserita la diffusione teorica delle idee di Le Corbusier, capace di polarizzare tutte le forze fresche del razionalismo nascente, per dare battaglia all’ accademismo. “Il contenuto purista della sua dottrina, mirabilmente propagandata dalla sua eccezionale capacità divulgatrice, divenne il punto d’incontro di tutte le tendenze avanguardiste del mondo” (Giancarlo De Carlo, Documenti d’Arte Contemporanea, Le Corbusier, Rosa e Ballo Editori, Milano 1945). L’Avanguardia artistica procede come espressione di “vasti movimenti di coscienza collettiva” (Edoardo Persico, ibidem).
A guardar bene, si potrebbe azzardare qualche paragone con le idee più evolute che circolano oggi sia sui grandi temi della salvaguardia del pianeta e della nostra casa comune, per un futuro sostenibile, sia sui temi riguardanti la pianificazione territoriale, l’urbanistica, l’architettura, l’arte e la cultura.
Ben vengano le idee sulla città nuova, la propaganda positiva e la divulgazione delle visioni che tanti grandi progettisti portano all’attenzione di coloro che hanno la responsabilità del governo del territorio. Ben venga il ritorno all’idea di città fatta di parti e di insiemi fra loro connessi, fatta di quartièri autosufficienti, verdi, dotati di tutti i servizi necessari nelle immediate vicinanze, raggiungibili attraverso una mobilità dolce e non inquinante. Ben vengano le grandi battaglie sul Cambiamento Climatico, per una riconversione sostenibile eliminando ove possibile il combustibile fossile in favore di altre soluzioni, ben vengano anche gli ecobonus, i tetti e i balconi verdi, la forestazione e la vegetalizzazione urbana.
Ben vengano i movimenti di coscienza collettiva, e le proposte più utopistiche e visionarie, purchè si tenti di mantenere un minimo di pragmatismo. Sulla città bisognerebbe intervenire subito, diminuendo il consumo di suolo e rigenerando il costruito, ma con una tattica di intervento per parti, per piccoli punti, anche con realizzazioni minime, depositando intelligenza e cultura in un progetto generale ma applicato con la cura del “caso per caso”, attraverso lo studio e la comprensione delle specificità di ogni luogo. Reinventare il quotidiano nei quartieri, rigenerare gli edifici con una strategia nuova rispetto alle pareti vetrate dei fondi di investimento, non solo ricercando “l’opera indimenticabile”, ma attivando, insieme alle visioni avanguardistiche, anche un nuovo modello di professionismo colto e acuto, capace di regalare alle città tanti piccoli interventi di qualità, dentro un clima generale e collettivo di speranza.
Un secolo fa, il 18 maggio del 1920, per chi ama le coincidenze, ci fu un’eclissi totale di sole, proprio mentre nasceva Karol Wojtyla e Arturo Ferrarin volava con un residuato bellico in legno e tela da Roma a Tokyo; nasceva l’Esprit Nouveau e la pandemia spagnola volgeva al termine.
“…interpretare, ordinare, guidare l’evento verso i suoi destini, questo è il nostro dovere. E’ l’ora di giudicare, di decidere, di agire. Senza rimpianti e sterili ripieghi. Con entusiasmo, fede, chiaroveggenza e intuito…”