APPUNTI SULLA CITTA’ NUOVA o dell’emergenza

27 Aprile 2020

Capitolo 5: LA GIUSTA DISTANZA, soluzioni temporanee o definitive?

Durante la Fase 2, per un periodo di tempo ancora indefinito – qualche mese? un anno? due anni? – alcune attività quotidiane, cui siamo da sempre abituati, subiranno delle limitazioni anche sostanziali, sia nello spazio che nel tempo. Modifiche o parziali trasformazioni allo scopo di migliorare e gestire il bisogno nuovo del distanziamento sociale. Di sicuro ci vorrà più tempo per andare in posta, in Comune, al bar, dal tabaccaio, dal casolino, come già abbiamo in parte sperimentato durante la Fase 1. Ci vorrà più tempo per spostarsi con i mezzi pubblici che potranno contenere circa il 30/40% di persone rispetto alla loro capienza naturale. Sui marciapiedi delle grandi città ci saranno sensi unici e lo spazio mancherà, in parte occupato dalle lunghe code di persone mascherate che attendono di entrare nelle farmacie, nei negozi, nei supermercati, negli uffici pubblici. Lo spazio a disposizione nelle piazze sembrerà compresso, o meglio in molti casi risulterà troppo piccolo e angusto rispetto alle abitudini di prima. I mercati all’aperto verranno riorganizzati con ingressi controllati; i giovani non potranno più riunirsi come facevano prima, affollando plateatici e locali, ma dovranno anche loro cercare la giusta distanza.

Di sicuro, già nella Fase 2, assisteremo nuovamente a code e congestioni di traffico automobilistico privato, con una sola persona al volante, fatto che da qualche anno invece le amministrazioni più avvedute cercavano di limitare. Il fenomeno dell’uso quotidiano dell’auto privata nei centri urbani, già destinato a subire un forte decremento grazie alle politiche innovative di qualche sindaco, purtroppo tornerà prepotente a crescere, perchè le persone non utilizzeranno volentieri le metropolitane e gli autobus. Prima dell’emergenza Covid-19, l’incentivo ad usare il trasporto leggero e sostenibile, principalmente la bicicletta e mezzi vari a due ruote elettrici, anche se con successi alterni e a volte deludenti, stava portando a qualche risultato anche in Italia, compatibilmente con la scarsa qualità e quantità delle piste ciclabili ed aree riservate. Già prima dell’emergenza, quindi, in Italia, ad esclusione di qualche rara realtà più virtuosa, era difficile affrontare sulle due ruote il traffico urbano, figuriamoci ora durante il caos che si genererà nei prossimi giorni anche a causa di una comunicazione confusionaria e non univoca. Come indagato nel capitolo precedente, strategie poco chiare e non definite, provocano incertezza, paura e spaesamento, per cui in molti preferiranno il comfort della propria auto dove ci si sentirà più sicuri e isolati dagli altri.

Per l’assurda compresenza di fattori complessi e contraddittori, improvvisamente siamo tornati a riempire il mondo di miliardi di prodotti usa e getta, vedi guanti, mascherine, copriscarpe, tute monouso, riportando nel dimenticatoio l’emergenza ambientale, che invece prima del coronavirus era prepotentemente riuscita a farsi spazio nelle coscienze di molte persone nel mondo; altrettanto riusciremo a vanificare tanti sforzi anche in relazione alla mobilità urbana senza interventi immediati ed incisivi da parte degli amministratori locali. Parrebbe infatti necessario sottrarre spazio alle strade e alle auto per offrirne di maggiore ai pedoni e ai ciclisti, ma in molti, sopratutto all’inizio, non saranno entusiasti; altri saranno stressati e innervositi dalle linee gialle che inevitabilmente dovranno occupare più spazio, a discapito delle carreggiate automobilistiche.

A questo punto è necessario tornare alla domanda di base: la città nuova come reagirà, quali modifiche strutturali subirà e saranno modifiche solo temporanee?

Molti urbanisti e studiosi, politici, sindaci, assessori, consulenti o semplici appassionati di città e di convivenza urbana si augurano che alcune spinte, emerse con prepotenza durante il lockdown, possano condurre alla realizzazione di politiche efficaci con soluzioni durature a medio/lungo termine, in modo tale da utilizzare al meglio alcuni nuovi bisogni, provando a trasformare l’emergenza in una irripetibile opportunità di governo del territorio. Fare di necessità virtù, per realizzare finalmente delle vere piste ciclabili, dei parcheggi scambiatori di qualità, per migliorare il trasporto pubblico leggero e possibilmente elettrico, riutilizzando per altri scopi gli autobus a gasolio, ingombranti, scomodi e inquinanti. In molti stanno riflettendo su come ripensare gli spazi collettivi delle città, i luoghi pubblici, i portici, le piazze, gli slarghi, i parchi e le aree verdi. Si pensa di dotare gli spazi pubblici all’aperto di tavolini e sedute per poter incontrare gli altri, per brevi riunioni di studio o di lavoro, diminuendo così le occasioni di accesso agli uffici e spazi privati. Si intravvede una nuova tendenza alla valorizzazione della prossimità, della comunità, della collaborazione, del quartiere, dei servizi diffusi invece che centralizzati. Le botteghe e i lavori oggi in estinzione legati alla manutenzione e alla cura ritornano centrali e indispensabili. Tornano in auge i servizi offerti dagli artigiani, i tuttofare e i manutentori, i calzolai, i lavori di sartoria. Si torna a ragionare su alcuni modelli di cohousing, o di social-housing, modelli di comunità aggregate intorno ad un progetto di condivisione dei servizi per la coabitazione.

Lo stesso dicasi per un rinnovato interesse legato a nuove idee di coworking, che parrebbe assumere tutta una nuova luce: si potrebbero pensare delle piccole strutture, frequenti e di vicinato, già perfettamente organizzate per poter risolvere il problema dell’ufficio a tutti coloro che non lo avranno più o che non hanno le risorse per adattarlo anche solo temporaneamente alle nuove esigenze. Si ripensa alle residenze per gli anziani che andrebbero riviste immaginando piccole strutture di quartiere, con mini proprietà indipendenti in piccoli condomini dotati di cucina comune, lavanderia, salotto e sala ricevimento, stanze per gli operatori comuni da condividere. Insomma nulla di nuovo, ma solo una parziale riscoperta di progetti e istanze su cui già si ragiona e si lavora da tanto tempo.

Contemporaneamente si diffonde sempre più l’utilizzo del digitale e dell’acquisto on-line, portando con sé un aumento esponenziale delle truffe informatiche e contemporaneamente un accentuarsi di tutti quei rischi su cui sociologi e psichiatri indagano da molto tempo. Si tratta di tutti quegli effetti collaterali che colpiscono sopratutto i giovani e giovanissimi, anche se nemmeno gli adulti ne sono immuni. Superficializzazione delle informazioni e della comunicazione, fragilizzazione dei rapporti umani, liquefazione delle relazioni tra individui. Persone rifugiate, ora anche a causa delle nuove necessità di confinamento da lockdown, nelle relazioni online apparentemente più rassicuranti, in un mondo mutato dove con un semplice click sulla tastiera si possono allontanare da sé le difficoltà, difetti, debolezze, dove i legami divengono immediati, ripuliti da ciò che ci infastidisce.

Senza voler negare gli enormi benefici del mondo digitale, amplificati durante l’emergenza, spesso il vivere online diviene una facile ma fragile via di fuga dai problemi reali. L’amplificazione globale dell’uso di nuove modalità di lavoro da casa o da remoto, comportano un rapporto continuativo ed in solitudine con il computer, con il muro di vetro che porta sempre più ad una perdita di capacità di conservare dentro di noi la conoscenza, delegandola all’etere digitale, alla macchina che indebolisce la capacità di concentrazione e di approfondimento.

Si rischia di perdere il confronto umano.

Con il lavoro da casa vengono meno il dialogo e la discussione reali, filtrate dal muro di vetro che aiuta a schivare e a defilarsi dagli approfondimenti de visu, o quantomeno indebolisce il rapporto e la comprensione sociale.

Nascono iniziative e molte proposte in merito alla rivitalizzazione ed al riuso di ampie aree urbane dismesse, così come rivolte alla riscoperta dell’immenso patrimonio di borghi e luoghi abbandonati ad esempio nell’area geografica appenninica o pedemontana.

Progettisti e designers si dilettano in questi giorni a proporre nuove barriere, nuove postazioni di lavoro, nuovi distributivi degli uffici e dei pubblici esercizi, prefigurando perfino nuove tipologie abitative, nuove dimore abili anche per il lavoro da casa. In molti hanno già adattato alcuni spazi della loro abitazione per il lavoro, l’esercizio fisico, il filtro contaminato all’ingresso dove lasciare scarpe, abiti, guanti da buttare, dove riporre le mascherine riutilizzabili. L’uomo è un essere vivente dotato di intelligenza per cui è anche abbastanza adattabile, in grado di costruire e realizzare le sue idee. Alcuni invece, dall’alto della loro sapienza, criticano tutto e tutti coloro che provano a ragionare su questi temi, ironizzando e suggerendo di evitare di parlare, altri ancora spingono per il menefreghismo, altri per la rivolta alle norme considerate troppo restrittive.

Taluni cercano nuove prospettive di lavoro e speculano.

Soprattutto fra i politicanti di basso livello questo è il momento di provare ad incassare, e la coesione nazionale è già finita, dappertutto sia in Europa che nel mondo intero.

In realtà questo sarebbe il momento della chiarezza, del coraggio e del progetto.

Del fare architettura, nel senso più classico del termine. Metaforico.

Per Platone Architetto è colui che è all’origine perchè ha l’idea, ma che anche dovrà conoscere le varie technai dell’opera per poterla realizzare, è l’artigiano che sovraintende, metafora per indicare il ruolo di colui che comanda, il nocchiero che governa la nave, metafora di colui che sovraintende tutto ciò che riguarda la polis.

Questo è il momento di mettere insieme le competenze, in un’architettura collettiva di speranza, per un cambiamento della città, per una intensificazione della relazione sociale tra individui, per una nuova idea di cooperazione. Il ponte di Genova è la testimonianza reale che la competenza collettiva, liberata dai mille lacci di Gulliver, può raggiungere l’obbiettivo, perfino in Italia e perfino in tempi stretti.